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Velella, un sogno lungo 60 anni

di Rizia Ortolani e Giovanni Rossi Filangieri

13 maggio, ore 7.40 del mattino: la rada di S. Nicola a mare è deserta e silenziosa. Il cielo sereno ed il mare tranquillo. Sul molo è stato scaricato del materiale e su un grosso peschereccio si lavora alacremente per imbarcarlo. Borsoni, pesanti casse metalliche, cavi, computer, macchine fotografiche, videocamere stanno lentamente trovando posto a bordo, su un ponte ormai ingombro di oggetti davvero inconsueti per una barca da pesca d'alto mare. Ci troviamo a S. Maria di Castellabate, in prossimità di punta Licosa, punta estrema del golfo di Salerno. L'aria tiepida del mattino e le azzurre trasparenze del mare di questo angolo incantato del Cilento non rivelano davvero i drammi e gli accadimenti di cui questi luoghi sono stati muti testimoni nel recente passato.

Il nome “Velella” non dirà molto ai più, ma esso rievoca i più crudeli fantasmi dell'ultima guerra nei marinai e negli anziani È necessario fare un passo indietro nel tempo di oltre settant'anni. La storia del Sommergibile Velella cominciò all'inizio degli anni '30 nei cantieri CRDA di Monfalcone. Il progetto iniziale di due unità fu sviluppato per conto della Marina del Portogallo, allorquando la stessa rinunciò all'acquisto. Nel 1935 la regia Marina Italiana rilevò il progetto apportando soltanto alcune modifiche all'originale. Fu una fortuna! Queste due unità, l'Argo ed il Velella, costituenti la classe di sommergibili costieri cosiddetta “Argo”, ne impreziosirono l'organico. Tanto vero è che lavorando proprio sulla struttura degli “Argo” fu creata la ben nota flottiglia di sommergibili della classe “Tritone”. Così, il Velella fu varato qualche anno più tardi rispetto ai progetti iniziali, per l'esattezza il 18 dicembre del 1936 e consegnato l'anno successivo. Era un sommergibile a doppio scafo, lungo 63,14 mt. , largo 6,90 mt., stazzava 810 tonnellate, più di 1.000 in immersione. Era armato di siluri, a prua come a poppa, ed aveva un cannone da 100mm nonché 4 mitragliatrici antiaeree. La propulsione era assicurata da motori FIAT, grazie ai quali il sommergibile poteva raggiungere velocità di 14 nodi in navigazione di superficie e di 8 nodi in immersione. Poteva raggiungere la profondità di -100 mt. Il Velella operò un po' ovunque. Dapprima nell' Egeo, in Mar Rosso e sulle coste africane, poi in Atlantico dove prese parte a numerosissime missioni. Le esigenze belliche richiamarono il Velella nella difficile fase della guerra combattuta nel mediterraneo, già infestato da unità sommergibili nemiche. Nell'estate del 1943 il comandante dell'unità, il Ten. di vascello Mario Patanè subentrato al Ten. Giovanni Febbraro, e il suo equipaggio ebbe a contrastare lo sbarco degli alleati in Sicilia insieme a molte altre unità. Uscito indenne dall'attacco di un aerosilurante durante il trasferimento in Sicilia, il Velella si distinse nelle operazioni belliche. Colpito ma non affondato, dovette riparare in avaria nella base di Taranto. L'appuntamento col suo tragico destino, tuttavia, era solo rinviato. Nel settembre del 1943, ormeggiato nel porto di Napoli, si apprestava a quella che poi diventerà la sua ultima tragica missione. Il Velella, con altre dieci unità, aveva il compito di sbarrare la strada al convoglio nemico in vista dell'imminente sbarco a Salerno. Il 7 settembre lasciò il porto di Napoli e da quel momento smise di dare notizie di se per sempre. Ricostruiamo, ora, le ultime ore di quella immane tragedia del mare e della guerra. Si diceva che il sommergibile Italiano ebbe l'ordine imperativo di bloccare con ogni mezzo l'ormai prevedibile sbarco alleato nel golfo di Salerno. Nei primissimi giorni del settembre 1943, un sommergibile britannico di nome Shakespeare, incrociava le nostre coste, con il compito di segnalare bracci di mare eventualmente minati dalla Marina Italiana e fungere da radiofaro per i convogli d'assalto in avvicinamento dal Nord Africa e dalla Sicilia. Il giorno 7 settembre 1943, lo Shakespeare stazionava nel tratto di mare antistante Punta Licosa, a circa 5 miglia a ovest del promontorio. Alle 19.53 circa due sottomarini italiani, diretti verso sud-ovest, naviganti in emersione ed alla distanza di circa un miglio l'uno dall'altro, gli passarono accanto, uno per lato. Dei due, quello ad est dello Shakespeare, il Benedetto Brin, non si distingueva sullo sfondo ormai scuro della costa e da questa ne rimase come protetto. Non fu così per il Velella, che sul lato occidentale si stagliava contro gli ultimi bagliori del crepuscolo. Secondo il resoconto del comandante del sommergibile inglese, questi lanciò contro il Velella, alle ore 20.00 circa, sei siluri, quattro dei quali colpirono l'obbiettivo disintegrandolo. Altri riportano che il Velella fu colpito in pieno da un solo siluro che lo colò a picco. Quest'ultima, che è la versione più accreditata, apparirebbe come la più verosimile. Infatti, gli altri siluri facenti parte della cosiddetta “coppola” che generalmente si lanciava contro il naviglio nemico, con ogni probabilità mancarono il bersaglio. Le cronache riportano che negli anni '70 rimase impigliato nella rete di un pescatore locale, che lo tirò su da una profondità di circa 200 metri, un grosso siluro a doppia elica di fabbricazione inglese, lungo oltre sei metri e una corsa, in rapporto al suo ritrovamento, di oltre 4000 metri. Si racconta, poi, che la sera di quel tragico 7 settembre a terra si udì una sola grande esplosione.

Se le vicende si limitassero a quanto fin ora riportato, la storia del Velella potrebbe sembrare un'ordinaria vicenda di guerra, pur nella sua cruda tragicità, visto che in guerra ogni missione può essere l'ultima. Impressiona, di sicuro, il fatto che di tutto l'equipaggio, nessuno riuscì a salvarsi. Non ci fu, infatti, alcun superstite. Se osserviamo però con un po' di attenzione la successione cronologica degli eventi, allora riusciremo a notare qualcosa di diverso in questa vicenda, che aggiunge crudeltà alla crudeltà della guerra. Soltanto cinque ore e mezza dopo l'affondamento, Radio Algeri annunziava al mondo l'armistizio con l'Italia. In realtà, il Generale Castellano aveva già firmato a insaputa della Marina a Cassabile, nei pressi di Siracusa, ben cinque giorni prima, quella resa incondizionata che stabiliva la cessazione delle ostilità. Nonostante le strategie ed i tentativi italiani per ottenere sanzioni meno pesanti, si era arrivati a quella conclusione. L'affondamento del Velella a questo punto ebbe a rappresentare uno scherzo del destino e una altrettanto storica manchevolezza dell'uomo che rese la tragedia del sommergibile ed il sacrificio dei suoi uomini completamente inutile. All'intenzione manifestata dal Mari.co.som di procedere al “piano zeta” per contrastare lo sbarco angloamericano, infatti, il governo non sollevò incredibilmente alcuna obbiezione.

La lunga storia del Velella, a ben vedere, non termina qui. Nel 1976 alcuni pescatori della zona di S. Maria di Castellabate si lamentarono presso le autorità locali. Riferirono ad esse che alcune volte le loro reti erano rimaste impigliate in qualcosa di probabilmente metallico e tagliente, tornando in superficie a pezzi. I fantasmi del passato riaffioravano in quei racconti. Negli anziani era ancora vivido il ricordo di quelle vicende. Si cominciò a pensare, infatti, che potesse trattarsi del relitto del sommergibile italiano scomparso in quel tratto di mare, senza che se ne ebbe però mai alcuna conferma documentata. Quello stesso anno, proprio a causa delle continue lamentele dei pescatori, vennero inviate dalla Marina un dragamine ed una vecchia nave di salvataggio, per scandagliare i fondali nonché tentare di localizzare ed eventualmente portare in superficie il relitto. Tutte queste ricerche non diedero alcun esito. Nel 1982, grazie all'iniziativa di Carlo Pracchi, un motorista che era stato imbarcato sul Velella per 7 anni e che per un caso fortuito non era a bordo il giorno della tragedia, fu organizzato un raduno seguito poi da una grande cerimonia. Pracchi invitò al raduno tutti i suoi compagni di bordo superstiti, sopravvissuti come lui perché non avevano preso parte all'ultima missione. Il 5 settembre, sulla banchina di Agropoli, si ritrovarono solo in sette. Tuttavia, questo gesto era valso a creare il primo nucleo di interesse attorno ad una vicenda che sembrava dimenticata per sempre. Era come se si fosse materializzato intorno a quei marinai un equipaggio di ombre, affioranti da un passato che lentamente prendeva vita nei loro ricordi e nelle loro parole. La seconda cerimonia, stavolta imponente, si svolse la settimana seguente a Santa Maria di Castellabate con grande partecipazione collettiva. Grazie all' interessamento del sindaco del luogo, che era riuscito ad ottenere dalla Marina il consenso di onorare i caduti con un picchetto di marinai ed un dragamine, furono deposte corone di fiori nel supposto punto dell'affondamento, rivelatosi poi in seguito sbagliato. Del resto, molte delle supposizioni fatte negli anni erano forse solo frutto del desiderio di poter onorare il ricordo di questo sommergibile e di tutti i suoi marinai. Un tale riferì, persino, di essere sceso per disincagliare delle reti di un pescatore a -102 metri e di aver toccato qualcosa che potesse essere parte del relitto del Velella. Vero o meno che fosse, è il segno tangibile che il Velella non era mai stato davvero dimenticato da queste parti. Passarono sette anni prima che si facesse una nuova commemorazione, questa volta però estesa a tutti i caduti del mare. Dal 1989 al 1997 le manifestazioni furono numerose. Negli anni più recenti, quella del Velella è diventata una commemorazione annuale stabilmente in uso a S. Maria di Castellabate, alla quale hanno partecipato insieme alla comunità locale importanti autorità civili, militari e religiose. Da queste commemorazioni, e dalle persone che vi hanno partecipato e continuano numerose a partecipare annualmente, tra cui le famiglie delle vittime, crebbe l'intenzione vera di recuperare il sommergibile, o quel che è rimasto, e le sue salme. Per rendere possibile l'avverarsi di questo annoso, latente desiderio furono percorse molte vie. Furono inoltrate, nel tempo, numerose richieste alla Marina Militare e nel contempo si tentò di sensibilizzare l'opinione pubblica, anche a mezzo di trasmissioni televisive. Tutte attività che, purtroppo, non sortirono l'effetto desiderato. Venne presentata, altresì, un'interrogazione parlamentare, nella seduta numero 841 del 19 gennaio 2001 consultabile agli atti. In essa si riferì, preliminarmente, dell'encomiabile attività dell'associazione nazionale marinai di Castellabate e dell'individuazione del relitto da parte della stessa nel luglio del 1999, in collaborazione con un Nucleo Sommozzatori dei Vigili del Fuoco di Napoli, nel corso delle cui operazioni si tentò anche un monitoraggio subacqueo per accertare la posizione e le condizioni del relitto, con l'utilizzo di un minisommergibile filoguidato dotato di telecamera, non andato a buon fine a causa delle forti correnti presenti in profondità Si domandò, inoltre, cosa intendesse fare il governo Italiano nella persona del ministro della difesa per procedere in tempi rapidi al doveroso recupero dei ciò che rimane dell'equipaggio e del sommergibile.

Nulla di concreto fece seguito, però, al fallito tentativo del Nucleo Sommozzatori dei V.V.F. ed il silenzio calò nuovamente sulla vicenda.

Un silenzio che non ha, però, scoraggiato l'attuale presidente dell'A.N.M.I. di S. Maria di Castellabate, il Maresciallo Carlo Mileo. Come se i più profondi desideri potessero influenzare il verificarsi degli eventi, ecco incrociare in maniera rocambolesca sulla strada del Velella un gruppo di appassionati di immersioni e di esplorazioni di relitti, riuniti attorno a colei che si è fatta fulcro aggregante da subito dell'intera vicenda: Rizia Ortolani. Così, quasi per incanto, sessant'anni di storia, di desideri non corrisposti, di aspettative frustrate si ritrovano a bordo di un peschereccio, alimentati da un vento nuovo e benevolo. Con essi, la determinazione dei membri della ANMI di S. Maria di Castellabate, l'ing. Barbagelata (COL.MAR - La Spezia) autentica autorità in fatto di acustica subacquea e gli scriventi, nel tentativo di gettare un ponte tra terra e mare, tra presente e passato. È nata la Missione Velella.

Il capitano, terminate le operazioni di imbarco, dirige la barca con destrezza verso un preciso punto in mezzo al mare, distante 10 miglia al largo da punta Licosa. Nelle miglia di mare che ci separano da quello che speriamo essere concretamente il relitto del Velella, veniamo ospitati con la generosità, la cortesia e la semplicità di cui solo la gente di mare è capace. Si appronta una caponata di alici freschissime, degna del più grande Cordon bleu. Il resto del tempo è assorbito dalla documentazione video fotografica. Dopo circa due ore di navigazione qualcosa appare sull'ecografo. Siamo tutti compressi nella plancia con gli occhi incollati agli strumenti, emozionati come bambini al primo giorno di scuola, scossi dall'emozione quando un deciso rilievo appare chiaramente sollevarsi dal profondo e piatto fondale fangoso sotto di noi. Ora si prepara la cima del pedagno che, con un amorevole e sapiente gesto, il maresciallo Carlo Mileo fila in mare. Sguardi carichi di speranza osservano la grande tanica segnale galleggiare in superficie nell'acqua blu cobalto. Posto un riferimento visivo, non rimane che preparare il sonar a scansione laterale e tutte le sofisticatissime apparecchiature di supporto. Saranno ore di duro lavoro per i tecnici della COL.MAR e per tutti noi. Le manovre da fare non sono semplicissime, la profondità è molto elevata e si rende necessario per ben due volte interrompere le operazioni per modificare l'assetto dello strumento che gravita a pochi metri dal fondo generando potenti segnali laterali. Il segreto gelosamente custodito dal mare per sessant'anni sta per svelarsi a noi. Ed ecco che, progressivamente, si traccia sulla stampante una sagoma inconfondibile: il rilievo evidenziato dallo scandaglio è effettivamente quello di un oggetto di grandi dimensioni, di forma ellittica, con una piccola sporgenza simile ad una torretta che ne interrompe bruscamente la linearità. ABBIAMO LOCALIZZATO IL VELELLA! Siamo noi su quel peschereccio i primi a vederne, dopo tutti questi anni, i contorni affusolati. Adesso ne siamo sicuri ed è con vera gioia che mostriamo a tutti queste immagini, sia pure quelle mediate dalla scansione del Sonar. Avremmo voluto essere capaci di trasmettere l'emozione e le mille sensazioni che ci hanno attraversato la mente ad ogni passaggio al traverso del Velella, ma sappiamo che è impossibile. Finalmente quei 51 marinai, abbandonati al loro destino dal paese per cui avevano combattuto, non sono più soli e le famiglie hanno una tomba, anche se liquida, sulla quale poter pregare. Si dice, però, che non c'è migliore tomba per un marinaio del mare stesso. Qualcosa, infatti, in questi anni è cambiato ed il comprensibile ed umano desiderio di dare una sepoltura alle restanti spoglie dei marinai recuperando il relitto è stato accantonato. L'obbiettivo attuale dell'associazione e della comunità tutta è la creazione di una sorta di museo alla memoria nel quale poter raccontare con immagini, documenti e l'esposizione di qualche manufatto, la storia del Velella, affinché del sacrificio del suo equipaggio rimanga memoria perenne. Ed è appunto per questo scopo che è nata la Missione Velella. Dare concreta attuazione ai legittimi desideri e aspirazioni di questa gente. C'è un potente legame che unisce vite e situazioni, solo apparentemente molto distanti tra loro. Ci furono marinai che si commossero per una tragica vicenda di mare che aveva coinvolto altri marinai e non vollero dimenticare. Lanciarono una cima a quegli sfortunati e alle loro famiglie fatta di profonda e sincera empatia. Ci sono, ora, subacquei che dai marinai hanno ascoltato in silenzio una storia e, come loro, hanno scelto di non dimenticare. Hanno lanciato la loro cima, fatta di incondizionato impegno e di eguale empatia, salendo in barca al fianco di quelli per tentare l'impossibile. Subacquei e marinai hanno sempre molte cose da dirsi, hanno lo stesso sangue dalla decisa composizione salina. Per tutti loro la vita è sacra: si fa l'impossibile per salvarla, quanto per preservarne il ricordo. Così, compito principale di chi dovrà scendere nel buio e nel freddo di quei profondi fondali sarà cercare, innanzitutto, di riportare testimonianze visive del relitto o di quello che ne rimane e, solo se possibile e in una seconda fase, il recupero di qualche parte simbolica dello scafo Infatti, nessuno sa cosa precisamente aspettarsi dal relitto. Tantissime sono le incognite ancora da svelare e analizzare: in che condizioni effettive si trovi lo scafo, quanto e in che punti può essere eventualmente insabbiato, la quantità di reti o taglienti cavi metallici persi dai pescatori in tutti questi anni che sbarrerebbero pericolosamente la via, la presenza o meno di forti correnti pericolose specie se in profondità e loro frequenza e intensità, il grado di visibilità sul fondo. Determinante sarà, come lo è già stato, l'utilizzo delle moderne tecnologie di ricerca e rilievo, quanto la scelta delle persone a cui affidare l'importante compito, scelta rivelatasi quanto mai indovinata. L'analisi dei dati ottenuti fin qui è tutt'ora in corso alla COL.MAR di La Spezia, affidata all'esperienza dell'ing. Barbagelata e dei suoi collaboratori, al fine di ottenere la maggiore quantità di informazioni ed il più possibile fruibili. Quello che emerge, all'attualità, non è però incoraggiante: la profondità elevata (quasi 140 mt.), le condizioni ambientali estremamente difficili, la probabile presenza di una grande quantità di reti abbandonate. Il relitto si presenta coricato su un fianco, seriamente danneggiato dal siluro inglese che lo affondò e da qualche probabile esplosione interna. Il successo di questa missione dipende, inoltre, dalla necessità di reperire fondi adeguati per portare avanti con sicurezza e continuità la fase delle immersioni di esplorazione e documentazione. Fin ad oggi, le spese sono state affrontate dalla comunità locale e dai marinai che si sono generosamente auto tassati negli anni. Per poter avere successo in operazioni come queste servono mezzi adeguati all'impegno da affrontare: equipaggiamenti dedicati, camere iperbariche, rampe per la ricarica miscele delle bombole. Si spera nel prossimo futuro nell'intervento di qualche sponsor generoso, per poter coprire almeno parte dei costi. Basti solo pensare a quello delle stesse miscele, il cui utilizzo in grande quantità è necessario in immersioni a quelle profondità. Per quanto riguarda il futuro, c'è grande ottimismo e speranza di poter mostrare le prime emozionanti immagini del Velella coricato in fondo al mare, ma questa è un'altra storia che speriamo presto di potervi raccontare.